C’è una sorta di imbarazzo per me nel dire che sono un’attrice, come se ci fosse qualcosa da tenere nascosto, qualcosa di cui vergognarsi.
Forse perché nell’immaginario comune l’attore è spesso sinonimo di egocentrismo, vanità, spavalderia, narcisismo… O forse perché attore è colui che “mette in moto”, “pone in azione”, “opera”, colui che trasporta gli spettatori verso la meraviglia, è un “traghettatore di emozioni” e non sempre mi sono sentita all’altezza di tale compito.
Questo lavoro per me è un atto di coraggio, mette in gioco la mia parte “più alta”, mi fa sentire estremamente viva e vera. Mi ha insegnato la calma, come seguire l’istinto e scardinare i pregiudizi che erano intorno a me, talvolta anche dentro di me.
Diventare portavoce di tante storie, interpretare ruoli diversi, creare personaggi credibili e tentare di restituirli con autenticità è un privilegio. In fin dei conti, credo che quest’arte non abbia tanto a che fare con il “mettersi in mostra” e il “parlare forte” quanto con lo “svelare delicatamente”, con l’ascolto di ciò che ci circonda, con l’accogliere quel che è intorno a noi e restituirlo al mondo attraverso metafore, suggestioni, simboli, poesia e ironia.
“L’attore è un perenne bambino” Peter Brook